Il Dantedì è la giornata isitutita dal Ministero della Cultura dedicata al sommo poeta. Nel celebre canto quinto dell’Inferno Dante descrive uno degli incontri più vividi e struggenti del suo viaggio ultraterreno: quello con Paolo e Francesca, ossia Paolo Malatesta e Francesca da Polenta, amanti condannati a vagare in eterno senza possibilità di sosta, sospinti da una bufera infernale.
Desideroso di conoscere direttamente dalle due anime il motivo della loro dannazione, Dante le chiama a sé e queste, come colombe “dal disío chiamate”, si avvicinano per pochi attimi al poeta. A parlare è Francesca, che ripercorre amaramente i propri ricordi:
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.
(Inferno, V, vv. 127-138)
Ricordando quel fatale attimo, da cui ebbe inizio il tradimento del marito Gianciotto Malatesta con il fratello di lui, Paolo, Francesca racconta che a favorire il nascere della passione fu la lettura di un romanzo, in cui erano narrate le vicende dell’innamoramento di Lancillotto, cavaliere della Tavola Rotonda, e di Ginevra, sposa di re Artù. Il romanzo in questione, detto Lancelot o Lancelot du Lac, era la parte centrale e nucleo originario della vasta compilazione in prosa nota come Lancelot-Graal o Lancelot en prose, appunto.
Le fonti trecentesche mantovane ci fanno sapere che, come Paolo e Francesca furono indotti in colpa leggendo le imprese di Lancillotto, così Agnese Visconti avrebbe tradito suo marito, Francesco Gonzaga, in una stanza in cui era raffigurato Lancillotto (“in camera sua Lanzaloti”), figura che incarnava l’essenza dell’adulterio finito in tragedia.
Questi episodi permettono di ricordare l’enorme fortuna che i romanzi del ciclo bretone ebbero presso le corti italiane: anche i Gonzaga di Mantova ne erano appassionati lettori, come è possibile dedurre dai documenti e, in particolare, da un importante inventario di corte del 1407, nel quale sono elencati ben sessantasette libri in “lingua francigena”, tra i quali una “Infantia Lanzalotti”, da identificare con il romanzo citato. Ma il riferimento specifico al Lancelot porta ad addentrarci nella prima metà del Quattrocento, quando la fortuna della tradizione francese del romanzo cavalleresco a Mantova toccò un apice con la realizzazione, in una vasta sala del nucleo più antico della corte, di un ciclo ad affresco dedicato proprio alla materia bretone. A realizzarlo, nel corso del quarto decennio del secolo, su commissione di Gianfrancesco Gonzaga, fu Antonio Pisano, il Pisanello.
La lettura di questo capolavoro è resa piuttosto difficoltosa – ma non meno affascinante – da più elementi: non solo i dipinti furono scoperti (negli anni Sessanta del secolo scorso) sotto vari strati di intonaco e strappati dalle pareti insieme ai rispettivi disegni preparatori (le “sinopie”), ma il ciclo stesso risulta non finito da parte del suo autore, per cause ancora dibattute.
Quanto rimesso in luce, tra disegni preparatori a sinopia e parti finite, permette tuttavia di apprezzare il racconto per immagini di uno spaccato di vita cavalleresca senza eguali. Secondo gli studi, il ciclo pisanelliano illustra un segmento di storia tratta dal citato Lancelot du Lac. È stato notato che il racconto prende avvio dall’estremità sinistra della parete con finestre, per poi procedere in senso antiorario: il Torneo si colloca dunque all’inizio del racconto. Protagonista è il cugino di Lancillotto, Bohort, che, giunto alla corte di re Brangoire, presso il Chastel de la Marche, prende parte a un torneo, venendo poi eletto migliore cavaliere della disputa. Durante il banchetto a seguire, Bohort è invitato dal re a scegliere, per sé e i suoi, dodici damigelle come spose: sottraendosi tuttavia alla scelta perché legato a un voto di castità, Bohort suscita la delusione della figlia stessa del re che, mediante un incantesimo, riuscirà infine ad ottenere l’amore del cavaliere. Frattanto, durante i festeggiamenti, i cavalieri narrano ciascuno un’avventura che li ha visti protagonisti. Del testo letterario le pitture pisanelliane ripropongono in maniera puntuale il Torneo, dipinto sulla parete orientale, e la serie di gesta dei cavalieri del seguito di Bohort, identificabili grazie ai nomi in eleganti lettere gotiche che li accompagnano nella sinopia della parete settentrionale. Benché compromessa dagli strati di intonaco sovrapposti in epoche successive e dall’intervento di strappo subito, la pittura di Pisanello dichiara ancora la sua finezza esecutiva, attraverso sensibili incarnati, applicazioni di dorature su pastiglia, raffinati passaggi cromatici.
Una mostra dedicata a Pisanello in programma da ottobre 2022 a gennaio 2023 a Palazzo Ducale permetterà di riscoprire questo capolavoro attraverso un allestimento permanente che consentirà di goderne la lettura dall’originale punto di vista – grazie alla sopraelevazione del piano di calpestio – e al dialogo e confronto con opere grafiche, medaglie, dipinti su tavola provenienti da prestigiosi musei italiani e stranieri.
Vi aspettiamo!
(testo di Giulia Marocchi - Funzionario Storico dell'Arte, Palazzo Ducale di Mantova)