Rinascimento privato, un portagioie profumato

Il 18 marzo del 1929 nasceva Romano Freddi: Palazzo Ducale è lieto di tributare un ricordo dell'imprenditore e grande collezionista di opere d'arte attraverso questa scheda di Stefano L'Occaso.

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Nel 2015 l’imprenditore Romano Freddi si guadagnava l’onore delle cronache locali e nazionali con un’importante operazione a favore del Palazzo Ducale: concedeva in comodato il fiore della sua collezione d’arte, raccolta in tanti anni di appassionati acquisti, consentendo persino alla direzione del Museo di selezionare le opere ritenute più significative. L’esposizione di una selezione delle sue raccolte fu aperta al pubblico nelle sale adiacenti la Camera degli Sposi, e il Palazzo Ducale ne sta ora progettando un ampliamento, assieme alla Fondazione che ha raccolto il testimone dell’industriale, scomparso nel 2017.

Romano Freddi era nato il 18 marzo del 1929, nel giorno di Sant’Anselmo, patrono della città di Mantova. Egli iniziò ad acquistare opere d’arte negli anni Settanta, ma solo a partire dal 1990 circa la sua collezione assunse una propria forma e una struttura, grazie all’ingresso di alcuni capolavori, tra cui lo splendido affresco giottesco con il Matrimonio mistico di santa Caterina, un dipinto su tavola di Giulio Romano e un frammento della pala della Santissima Trinità di Rubens. Tutte opere ora in Palazzo Ducale. La sua passione per il Rinascimento e per gli aspetti meno noti di questa epoca, lo portarono ad acquistare opere delle più varie tipologie – arazzi, piatti, calamai, bronzetti, mobili, … – che possono aiutarci a raccontare la vita presso una corte come quella dei Gonzaga.

Tra questi oggetti vogliamo segnalarvi una vera curiosità: due cassette “in pasta di muschio”. Cosa sono e a cosa servivano? Sono cofanetti di piccole dimensioni, il più grande misura 13×19×13 cm, che servivano da portagioie per le dame di corte ed erano decorati con un repertorio di soggetti mitologici e classici, prevalentemente romani, essendo rarissime le decorazioni di carattere sacro. Da matrici metalliche si ricavavano le piccolissime figure di pastiglia, costituita da bianco di piombo, con aggiunta di solfati e di un legante proteico. I fondi venivano invece lavorati a punzone, una sorta di timbro, e dorati. Le figurine ricavate dagli stampi metallici potevano essere diversificate e caratterizzate, per interpretare Curzio Rufo, piuttosto che Diogene o Muzio Scevola o Tisbe o Dafne. È tuttora ignoto il centro di produzione di questi oggetti – ne restano poche centinaia in tutto il mondo – ma lo si ritiene forse da collocare tra Mantova e Ferrara, o comunque in area padana.

Le cassettine erano definite negli antichi inventari come “de pasta de muschio”, perché un’essenza odorosa (muschio, ambra e zibetto) era unita alla pastiglia e rendeva profumati i cofanetti. Questo aspetto li rendeva ancora più preziosi, ma purtroppo ogni fragranza è svanita nei secoli e oggi possiamo solo ammirarne la minuta fattura e l’eleganza.

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