La Palazzina della Paleologa

Per chi fosse giunto a Mantova dal ponte di San Giorgio nella seconda metà del Cinquecento, la vista del grande complesso di Palazzo Ducale doveva presentarsi molto diversa rispetto ad oggi. In particolare, il nostro viandante immaginario avrebbe certamente notato un edificio civile, eretto sul sedime esterno del fossato del Castello. Una piccola villa di sobria maniera cinquecentesca, con un grazioso giardino pensile e connessa al grande complesso fortilizio da una sorta di "corridore". Oggi quella villa - la cosiddetta "Palazzina della Paleologa" - non esiste più: lo storico dell'arte Stefano L'Occaso ci restituisce un quadro dettagliato degli attuali studi sul tema e alcune preziose suggestioni...

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Ricostruzione Paleologa 01

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Dal 1531 fu approntata e decorata la palazzina di Margherita Paleologa, a ridosso del Castello di San Giorgio; i documenti nulla ci dicono sulle decorazioni degli interni, mentre si concentrano sulle prime fasi, costruttive e di decorazione in esterno. Secondo alcuni studiosi, per esempio Martha Sue Ahrendt e Sally Hickson, la palazzina poteva essere interpretata «as an architectural expression of greater female visibility at the Gonzaga court», ossia la prima manifestazione di una maggior visibilità delle donne alla corte dei Gonzaga. Era infatti il biglietto da visita del Palazzo Ducale per chi giungeva da est, traversando il ponte di San Giorgio.

La palazzina fu realizzata e inizialmente decorata al suo interno da Giulio Romano e dai suoi collaboratori, ma fu demolita nel 1899, in seguito a una lunga polemica che vide coinvolta la Commissione Regionale (che si occupava della tutela della conservazione dei beni artistici), il Comune di Mantova e la Prefettura. Una fase di progressivo abbandono dovette caratterizzare quest’area del Palazzo Ducale dal Settecento e i dissesti strutturali ben visibili a fine Ottocento condussero a un’ipotesi estrema, la demolizione, nell’ultimo decennio del XIX secolo. Allora però si riteneva che l’appartamento fosse stato abitato da Isabella d’Este e in questi termini se ne parla nel 1894, in vista della demolizione. La Commissione Conservatrice dava il 2 luglio 1898, dopo lungo braccio di ferro, il suo “via libera” alla richiesta di abbattimento della Paleologa avanzata dal Comune, “per ragioni di estetica e di maggior comodità all’accesso di Porta S. Giorgio” e si giunse a breve al contratto, il 18 ottobre 1898, per la demolizione; vinse l’appalto la ditta Pavesi, che aveva appena ultimato la demolizione dell’ex teatro regio, con un ribasso del 20%.

La discussione di quegli anni è innescata da uno studio del francese Charles Yriarte, seppur fondato su un fraintendimento, ossia l’idea che l’appartamento fosse quello di Isabella, moglie di Francesco II, e che le Sibille dell’oratorio fossero state affrescate dal Correggio. Stefano Davari, abile archivista mantovano, chiarì in quegli anni (e in risposta a Yriarte) la cronologia della fabbrica, posponendola agli anni di Margherita Paleologa, e allo stesso tempo ne decretò in sostanza la demolizione: venuto meno il sacro rispetto per Isabella d’Este, l’edificio, riconducibile agli anni di Giulio Romano, non meritava di essere conservato, era sacrificabile. La polemica rimase viva, ma infine si procedette alla demolizione, perché il restauro avrebbe portato a una ricostruzione pressoché totale, molto onerosa.

Nel 1899 la palazzina fu abbattuta e la sua mole, che fino ad allora aveva contraddistinto il fronte orientale del Palazzo Ducale, la sua architettura giuliesca, che aveva ospitato forse il primo giardino pensile del complesso palatino, vennero meno: furono salvate alcune decorazioni – non tutte – che oggi sono conservate al piano nobile del Castello di San Giorgio, la cui vista fu “liberata” con una operazione che continua a lasciarci perplessi.

Un dipinto del 1891 di Albert Anker ci mostra, abbagliata da una luce estiva, la palazzina pochi anni prima della sua scomparsa, e alcune rare foto d’archivio ci illustrano le decorazioni ad affresco, riconducibili alla mano di Giulio Romano e bottega, che furono definitivamente distrutte.

Albert Anker 1891 m

Senza titolo 1 m

 

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