Testimonianze: intervista a Sergio Paccagnini

Una scoperta straordinaria
Sergio Paccagnini è figlio di Giovanni Paccagnini, il Soprintendente che ha riportato alla luce dopo secoli di oblìo il ciclo arturiano di Pisanello. Quando suo padre lavorava a Mantova lui era solo un ragazzo ma ricorda ancora molti dettagli di quell’impresa incredibile. Nell’occasione della mostra “Pisanello. Il tumulto del mondo” non potevamo farci sfuggire l’occasione di intervistarlo, per ripercorrere con lui i tratti salienti dell’incredibile impresa di suo padre risalente ormai a oltre cinquant’anni fa.

---

Gentile Sergio, innanzitutto buongiorno e grazie per averci concesso quest'intervista. Il ritrovamento del ciclo cavalleresco di Pisanello a Palazzo Ducale di Mantova è – a detta di molti – una delle più importanti scoperte della storia dell’arte italiana nel secondo dopoguerra. Quando Suo padre lavorava per riportare alla luce quest’opera che si credeva perduta, Lei quanti anni aveva e cosa ricorda di quel periodo?

[Sergio Paccagnini] "Una delle più grandi scoperte, non solo del secondo dopoguerra. Ai suoi tempi Pisanello, dopo la morte di Gentile da Fabriano (1427), era infatti considerato il maggior pittore italiano. Dopo il successo della grandiosa e irripetibile mostra di Andrea Mantegna del 1961 – con 200 opere esposte di cui 50 del solo Mantegna, circa 250.000 visitatori nei soli due mesi di esposizione e 20.000 copie del catalogo vendute – mio padre ottenne l’incarico di Soprintendente a Venezia, ma mentre stava già organizzando il trasferimento nella nuova sede (tra il 1962 e il ’63) scoprì nel Palazzo Ducale le prime tracce del ciclo del Pisanello, sacrificando così un prestigioso avanzamento di carriera a quell’impresa. Io allora avevo 15 anni e non avevo fatto in tempo a frequentare la quinta ginnasio a Venezia che dovetti subito tornare a Mantova, assolutamente inconsapevole di cosa era successo. Poi mia madre mi spiegò tutto e così mi sono subito appassionato a quell’emozionante vicenda, cercando di seguirne, sempre attraverso i racconti di mia madre, le varie fasi."

L’operazione che il Soprintendente Paccagnini ha condotto su quella che allora si chiamava “Sala dei Principi” per svelare il ciclo di Pisanello fu assai impegnativa. Ci voleva certamente una buona dose di coraggio per intraprendere un lavoro che si preannunciava rischioso. Suo padre parlava in famiglia delle ricerche che stava conducendo? Ricorda qualche questione in particolare che lo tormentava?

[S.P.] "Mio padre era riservatissimo e quello che ho appreso è stato come ho detto grazie a mia madre che nei miei rari soggiorni mantovani di quegli anni (dal 1966 frequentavo l’Università a Firenze) mi teneva al corrente di tutto. L’audacia e il coraggio certo non mancavano a mio padre. I rischi c’erano ma erano calcolati in base all’esperienza maturata nelle precedenti campagne di strappi e di restauri eseguiti a Mantova, Verona e Cremona. Certo qui si trattava di sperimentare per la prima volta strappi di dimensioni gigantesche, ma la squadra di Coffani era di prim’ordine così come quella di Nonfarmale, che si occupò in seguito dei restauri, anche se va detto che il lavoro maggiore toccò allo stesso Coffani. Il tormento maggiore di mio padre credo fosse derivato dalle lungaggini burocratiche ministeriali che per circa due anni gli impedirono di iniziare le operazioni di recupero del ciclo pisanelliano."

Quale fu la reazione della politica alla grande scoperta? E il mondo accademico?

[S.P.] "Della politica non saprei dire. Chiaro che negli organi ministeriali quell’eccezionale ritrovamento (sommato all’irripetibile mostra del Mantegna del 1961 che portò per la prima volta a Mantova il turismo di massa) ebbe il giusto riconoscimento. All’onorificenza di cavaliere dell’Ordine al Merito, assegnata a mio padre nel 1962 dal Presidente della Repubblica in seguito all’enorme successo della mostra del Mantegna, si aggiunse la medaglia d’oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell’arte concessa nel 1973, sempre dal Presidente, in seguito alla scoperta degli affreschi del Pisanello. I grandi meriti di mio padre sono stati ovviamente riconosciuti anche dalla città di Mantova che gli ha dedicato una targa posta nella sala del Pisanello e una piazza (l’ex-Piazza Paradiso dove abbiamo abitato per più di vent’anni). Riguardo al mondo accademico il ritrovamento del ciclo del Pisanello fu accolto trionfalmente, anche se per alcuni si trattò di “un pugno nello stomaco”. La scuola longhiana, che aveva e ha tuttora numerosi proseliti, considerava infatti Pisanello un “ritardatario”, un pittore non degno di stare accanto ai grandi del primo Rinascimento. La scoperta di Mantova in un certo senso rivoluzionava schemi già consolidati e da qui ha preso il via il tentativo, non so se consapevole o quanto consapevole, di retrodatare il ciclo cavalleresco del Pisanello che mio padre e quasi tutti i più grandi studiosi di allora avevano giudicato un’opera della maturità, ma che evidentemente per qualcuno era scomodo collocare in una data così avanzata. Ancora oggi va per la maggiore una datazione del ciclo agli anni 1430-33, anteriore cioè di 10-15 anni rispetto a quando il ciclo fu verosimilmente eseguito. Credo che a tutt’oggi la monografia di mio padre sul Pisanello sia un caposaldo critico con cui gli storici dell’arte devono fare ancora i conti nonostante sia ormai vecchia di cinquant’anni."

L’imminente mostra di Palazzo Ducale “Pisanello. Il tumulto del mondo” intende rendere omaggio alla grande esposizione del 1972 con la quale Suo padre rendeva pubblico il lungo lavoro di studio e restauro del ciclo. Oggi, a cinquant’anni da quella scoperta, possiamo trarre un bilancio di quell’esperienza? In quale direzione, se secondo Lei ce n’è una, occorre ancora lavorare per meglio comprendere quest’opera così ambiziosa e incompiuta?

[S.P.] "In realtà dalla scoperta sono passati quasi sessant’anni nonostante mi sembri ieri tanto il ricordo della fantastica avventura di mio padre sia in me ancora così vivo. Il bilancio è senza dubbio positivo. Già tre grandi mostre (e una notevole serie di studi accessori) sono state dedicate a Pisanello in questi cinquant’anni (Parigi e Verona 1996, Londra 2001) e ora se ne apre un’altra che celebra la grande mostra mantovana del 1972 organizzata da mio padre e porta nuovamente Mantova al centro dell’attenzione. Ne approfitto per ringraziare il Direttore del Palazzo Ducale Stefano L’Occaso che tra gli altri meriti è riuscito a riportare in Italia dopo 160 anni (anche se solo per tre mesi) una delle poche tavole superstiti del Pisanello oltre che l’unica firmata dal pittore : la celebre “Madonna col Bambino e i santi Giorgio e Antonio Abate” attualmente conservata presso La National Gallery di Londra. Si tratta molto probabilmente di una delle ultime opere pittoriche del Pisanello e spero che la sua presenza nella mostra sia utile per riportare anche i murali di Palazzo Ducale a una corretta datazione, dato che non sono pochi i punti di contatto che quella tavola stabilisce con alcuni particolari del ciclo pisanelliano di Mantova. Riguardo a quanto ci sarebbe da fare non mi pronuncio. Sugli aspetti relativi alla fruizione da parte del pubblico e alla conservazione dell’opera mi sembra che L’Occaso abbia fatto un ottimo lavoro. L’illuminazione della sala basata su una tecnologia avanzata che salvaguardia le pitture e la nuova pavimentazione che riporta l’osservatore al livello originario dell’antico pavimento, restituendogli una corretta visione degli affreschi, sono intuizioni e realizzazioni che vanno a suo esclusivo merito. Per il resto, come ho già detto, spero si risolva definitivamente il problema della datazione del ciclo mentre per quanto riguarda l’iconografia la semplificazione in “Storie di Bohort” mi sembra troppo riduttiva. Si è infatti immaginato di leggere nelle parti mancanti la prosecuzione e la conclusione di un singolo episodio del Lancelot rappresentato da Pisanello nelle sinopie. Il collegamento dell’eroe arturiano Bohort (Borso) con la dinastia dei Gonzaga non so in effetti quanto sia sostenibile. Anche se i Gonzaga erano appassionati lettori di quei romanzi non hanno dato nomi arturiani ai loro eredi come hanno fatto invece i Visconti, gli Sforza, gli Este e i Malatesta, cioè le altre signorie padane dove tra il Trecento e il Quattrocento si respirava lo stesso clima cavalleresco. L’ipotesi sostenuta da mio padre che Pisanello avesse elaborato episodi diversi tratti dai romanzi arturiani e che certamente tra quelli vi fosse anche un riferimento alla ricerca del Santo Graal mi sembra corretta anche perché in una rappresentazione celebrativa del casato dei Gonzaga, da sempre legati al culto del sangue di Cristo, quel riferimento non poteva certo mancare."

Pin It

CercaInformazioni disabiliCalendarioBiglietti